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CINI Italia | In supporto a Child In Need Institute - CINI India

Dal mio diario di tirocinio: l’esperienza di Andrea Pomarolli

12 Nov

Il nostro tirocinio è finalmente incominciato. Con Pietro e Sabina siamo tornati insieme dai platform children: i bambini della stazione ferroviaria di Sealdah che vengono raccolti e ospitati da CINI in due piccoli centri antistanti i binari. Credo che una delle cose fondamentali sia quella di esplorare il più possibile l’ambiente nel quale ci si ritrova ad operare e così ho chiesto a Babu, uno degli educatori di CINI che opera in questo servizio, di mostrarci nel vivo la stazione di Sealdah, là dove i bambini si muovono, lavorano e vivono. Così ho scoperto che uno dei binari migliori sui quali racimolare un po’ di rupie, cibo o bottiglie d’acqua di plastica vuote da poter rivendere è il numero 9. Il motivo è il treno carico di passeggeri in arrivo ogni giorno da Delhi. Donne e bambini si spargono sui binari dove la gente scende o è in attesa, per vendere loro patatine, tabacco da masticare, oppure solo per chiedere qualche soldo. Ammiro e apprezzo, dopo una sola giornata, il lavoro che CINI riesce a svolgere qui. La stazione è un luogo vivo, brulicante di persone sospese tra la loro provenienza e il luogo di destinazione, un posto di passaggio che ospita ogni giorno milioni di passanti. Alcuni di questi uomini, donne e soprattutto bambini, però, vivono la maggior parte della loro quotidianità qui. Nei centri aperti gestiti dagli operatori di CINI i bambini giocano, imparano, mangiano e dormono seduti o sdraiati su delle stuoie consunte. L’importanza di questi centri è la vita stessa dei bambini che vi si trovano. Bambini che come i loro coetanei sorridono, saltano pieni d’energia, con la voglia di giocare e di diventare grandi. Bambini che per sopravvivere hanno trovato sulla strada una possibilità di sussistenza, ognuno con una storia diversa che a volte è difficile solo da immaginare, da dire, da raccontare. Alcuni arrivano addirittura da stati diversi, da villaggi lontani dei quali, a volte, non ricordano neanche più il nome. Qualcuno di loro ha i genitori, mentre altri sono semplicemente figli della strada. Uno di loro attira la mia attenzione perché tende a stare in disparte e a non comunicare con gli altri bambini. Chiedo a Babu il perché e lui mi risponde che è arrivato al centro da poco e che probabilmente è sordo muto; alcuni frammenti del suo passato sono emersi in pochi disegni che raccontano del Bihar, uno stato a nord-ovest del West Bengala, ricco di verde e di montagne. “Chi sono?”, “Da dove vengo?”.

Il centro di Sealdah e CINI ASHA li accoglie, si prende cura di loro proteggendoli dalle insidie che sulla strada possono raggiungerli facilmente. Babu mi spiega che ai bambini viene fornita una unconventional education, che comprende, oltre alla lettura e alla scrittura, anche l’arte: disegno, musica, danza e lo sport come, ad esempio, il karate. L’intento è quello di riuscir ad incanalare in modo positivo le energie dei bambini permettendogli di entrare in contatto con i propri sentimenti, i propri talenti e le loro personali
attitudini. Molti dei bambini che vivono in strada, mi spiega Babu, sono come dei piccoli attori, recitano una parte, il più possibile straziante; la stazione è il loro palco e il pubblico sono i viaggiatori ai quali chiedere una banconota da 10 Rupie. Gli educatori sfruttano in qualche modo questo loro talento per realizzare invece delle performance di gruppo da portare all’attenzione della gente dentro la stazione stessa. Li rendono consapevoli delle loro abilità fornendo loro gli strumenti e la consapevolezza per realizzare qualcosa che abbia un valore in sè, per le loro esistenze. Questa trasformazione può essere la chiave di volta per il loro futuro. Non tutti i bambini infatti vanno a scuola, anzi, alcuni di loro non ne hanno
forse mai vista o scrutata una da lontano. La stazione diventa quindi anche luogo dove si fa educazione e dove si può generare educazione e Babu (anche lui bambino ospitato da CINI nel Centro di Sealdah alla fine degli anni ‘80), ne è la prova vivente.

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