È difficile trovare le parole giuste per raccontare questa esperienza e descrivere una città tanto ricca di voci e colori con contrasti che sfiorano l’inverosimile. L’idea che mi sono fatto è che un normale turista non potrebbe resistere più di tre giorni a Calcutta; potrebbe solo permettersi di ammirare la città per il suo privilegio di non appartenerle. Prima di partire, documentandomi, avevo letto che Calcutta si è in qualche modo modernizzata, che presenta un miglioramento delle condizioni socio-economiche rispetto alle descrizioni un po’ romanzate presenti anche in libri come ‘La città della gioia’ di Dominique Lapierre. In molte zone ho trovato ancora una realtà drammatica, spaventevole, che riflette l’immaginario collettivo sulla povertà indiana. Molte persone vivono ai margini e hanno come unico giaciglio il marciapiede, gli spartitraffico o i binari della ferrovia. Lo smog asfissiante è provocato da un traffico impazzito, privo di pause, fatto di migliaia di camion, auto vecchie, taxi, moto-ape, autobus, motorette, tutti malandati ed affollati, impegnati in sorpassi continui e nell’uso ossessionante e folle del clacson. Il primo impatto con la realtà di Calcutta può essere quindi devastante non solo per i polmoni, o per gli anticorpi, ma anche per l’udito.
Grazie a CINI ho avuto la possibilità di vedere con i miei occhi e di sentire nel cuore la vera Calcutta, attraverso le visite ai centri educativi e di cura, ai villaggi in periferia nonché la partecipazione ai progetti per i bambini di strada. Molti sono stati i momenti di confronto con la comunità, attimi preziosi per riflettere e per pensare ai valori effettivi della vita. Osservare il lavoro di CINI è stata un’esperienza estremamente importante che mi ha fatto capire quanto sia necessario il contributo dei singoli educatori, medici o personale ausiliario poiché, riprendendo le parole di Madre Teresa, “quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.